La rubrica settimanale di Bruno Ianniello ci parla del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, si tratta di una battaglia che condivido da anni con l’associazione “ERRORIGIUDIZIARI.COM”
Si avvicina a lenti ma inesorabili passi il Natale e i buoni o presunti tali continuano a ripeterci in tutte le salse che dobbiamo essere come loro ovvero più buoni, caritatevoli e comprensivi con il prossimo.
E’ un vecchio ed ammuffito slogan tirato fuori quando fa comodo e soprattutto quando il manovratore non vuole essere disturbato e non tollera domande tanto meno critiche neppure velato al proprio operato: ricorderete certamente gli striscioni esposti sui balconi in periodo di pandemia contenenti le scritte più sdolcinate ed ipocrite che mente umana possa partorire e che non ripeto in codesta sede per carità di patria.
Lo Stato, la Chiesa, le ONG, le varie logge massoniche, Famiglia Cristiana e chi più ne ha più ne metta ci chiedono quindi di mostrare umanità ed amore purtuttavia l’interrogativo sorge spontaneo: i buoni o presunti tali che professano Peace & Love ad ogni piè sospinto possono salire sul cosiddetto pulpito e chiederci cotanto sacrificio senza correre il rischio di prendersi almeno una selva di fischi nella migliore delle ipotesi?
Per poter fornire una parvenza di risposta dignitosa al quesito suesposto occorre partire dallo Stato: per anni si è detto che lo Stato siamo noi ed in parte è vero atteso che non si può chiedere alle forze dell’ordine di pattugliare ogni metro quadrato del suolo patrio e quindi il funzionamento della democrazia è affidato in buona parte al senso civico e di responsabilità dei comuni cittadini.
Esaurita la doverosa e per certi versi anche scontata premessa, non si può negare che lo Stato si compone di funzionari, Dirigenti, organi legislativi, Giudici, impiegati, potere esecutivo, organi di controllo, il cui compito dovrebbe proprio essere quello di controllare ma, tanto per fare un esempio, il Comune di Roma, simbolo per eccellenza di inefficienza nazionale, si è accorto solo a distanza di anni che la Cooperativa gestita dalla suocera del Soumahoro non poteva ricevere soldi pubblici in quanto priva della documentazione necessaria prevista dalla legge ovvero il DURC.
Insomma lo Stato si compone di esseri umani che, in quanto tali, possono sbagliare e, quando lo sbaglio incide su di un bene inestimabile quale la vita e la libertà dei cittadini, non è possibile voltarsi dall’altra parte o limitarsi ad avanzare delle semplici scuse al malcapitato cittadino.
Esistono quindi degli strumenti che, almeno in linea teorica, dovrebbero costituire dei rimedi ai grossolani errori commessi in danno delle persone la cui esistenza è stata stravolta da decisioni errate in sede giudiziaria e tra questi vi è quello del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione.
Cerchiamo innanzitutto di capire come funziona tale istituto e quali sono i presupposti previsti dalla legge per poter presentare apposita domanda.
Il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione è riconosciuto in primis dall’art. 24, comma quarto, della Costituzione, secondo cui è previsto che la legge determini “le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.
Il dettato costituzionale riconosce quindi, sia pure solo implicitamente l’inevitabile fallibilità dello Stato ed impone quindi l’obbligo di porre riparo al pregiudizio provocato contra ius.
L’art. 5 paragrafo 5 della CEDU e l’art. 9, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici riconoscono altresì il diritto ad una riparazione (enforceable right to compensation) a chiunque sia stato illegittimamente arrestato o detenuto.
A fronte di cotanti riconoscimenti è quindi lecito attendersi una legislazione capace di recepire pienamente il valore del bene che è stato leso.
L’indennizzo che ha quindi valore riparatorio e non risarcitorio è previsto ai sensi degli artt. 314 e 315 del codice di procedura penale e consiste nel pagamento di una somma di denaro che non può eccedere l’importo di € 516.456,00.
Possono presentare domanda per ottenere il suddetto indennizzo coloro che sono stati sottoposti a custodia cautelare e successivamente prosciolti con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, se non ha concorso a darvi causa per dolo o colpa grave, coloro che sono stati sottoposto a custodia cautelare e successivamente prosciolti per qualsiasi causa quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento di custodia cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 del codice di procedura penale, coloro che sono stati sottoposti a custodia cautelare e, successivamente, a loro favore sia stato pronunciato un provvedimento di archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere, coloro che sono stati prosciolti con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per custodia cautelare e infine coloro che sono stati prosciolti per qualsiasi causa ed i condannati che nel corso del processo siano stati sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida.
In caso di decesso della persona interessata la domanda può essere presentato anche dal coniuge, discendenti e gli ascendenti, fratelli e le sorelle ed addirittura dagli affini entro il 1° grado nonché dalle persone legate da vincoli di adozione con quella deceduta.
Sulla carta il meccanismo sembrerebbe ben oliato e privo di criticità ma la realtà ci mostra invece un insieme di aspetti non del tutto chiari e lineari e soprattutto zone grigie che emergono dall’applicazione dell’art. 314 comma 1 codice procedura penale in cui la discrezionalità del Giudice chiamato a decidere sulla domanda presentata dal malcapitato appare in modo del tutto lampante.
Fra le tante vittime del meccanismo diabolico contemplato dalla norma sopra richiamata vi è Giulio Petrilli, arrestato il 23 dicembre 1980, a 21 anni, con l’accusa di partecipazione a banda armata per un presunto coinvolgimento nell’organizzazione terroristica “Prima Linea”, detenuto per 5 anni e 8 mesi, nel regime speciale riservato ai terroristi e poi successivamente assolto dai giudici della Corte d’appello con sentenza divenuta quindi definitiva in Cassazione nel 1989.
Nonostante quanto sopra la sua richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione è stata sempre negata proprio in base al comma 1 dell’art. 314 del codice di procedura penale poiché avrebbe avuto frequentazioni “poco raccomandabili” e quindi adottato una condotta in qualche modo definibile “colposa”.
Altro caso analogo è quello che ha visto coinvolto il Signor A.V.che il 6 maggio 2015, a Cagliari, viene condannato a un anno e otto mesi di reclusione per evasione dell’Iva.
Un anno dopo che la sentenza diviene esecutiva ed il povero malcapitato si vede costretto a scontare la sua pena in carcere.
Il difensore presenta subito due istanze con le quali chiede al giudice dell’esecuzione la revoca della sentenza, in quanto nell’ottobre del 2015, per il reato di evasione dell’Iva su importi inferiori a 250 mila euro, era intervenuta la depenalizzazione con il D. Lgs n. 158/2015.
Le due istanze vengono accolte dal giudice dell’esecuzione, che stabilisce la scarcerazione dell’uomo arrestato ingiustamente. Ma dal giorno in cui A. V. è entrato in cella, è passato tanto tempo: l’uomo riacquista la libertà solo il 5 ottobre 2017, dopo quattrocentotrentatré giorni dietro le sbarre senza motivo.
A quel punto il difensore di A.V. decide di presentare un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, dando per scontato che il suo assistito ha diritto a un indennizzo per quei giorni trascorsi in un carcere e invece il 25 febbraio 2020 arriva la prima sorpresa in quanto la Corte di appello di Cagliari respinge l’istanza: i giudici, pur dando atto della reclusione ingiusta patita dall’uomo, protrattasi per un anno, due mesi e otto giorni, sostengono che A. V. avrebbe potuto chiedere fin da subito l’applicazione dell’indulto e il riconoscimento dell’abrogazione del reato oramai depenalizzato. Non lo ha fatto e questo, per la Corte, costituiva un comportamento gravemente colposo.
Fortunatamente sarà la Cassazione a fare giustizi annullando la decisione della Corte di appello di Cagliari e rinviando ad altra sezione della Corte, per un nuovo giudizio sulla domanda di ingiusta detenzione.
Un ultima occhiata ai numeri: da numerose fonti di stampa si apprende che dal 1991 al 31 dicembre 2021 i casi di ingiusta detenzione ammonterebbero a oltre 30.000: in media, circa mille all’anno e, dai dati contenuti nella relazione annuale sulle “Misure cautelari personali e riparazione per ingiusta detenzione” per il 2021 presentata lo scorso anno al Parlamento dal Ministero della giustizia, emerge che i provvedimenti di riparazione per ingiusta detenzione concessi nel 2020 sono stati 750 mentre nel 2021 si sono fermati a 565 ed inoltre è diminuito anche l’importo medio corrisposto: è stato pari a poco più di 43.000 euro, a fronte dei quasi 50.000 euro del 2020.
Le liquidazioni restano diverse su base territoriale e gli uffici giudiziari del Sud tendono a essere più generosi tanto è vero gli indennizzi più sostanziosi sono stati emessi in relazione a provvedimenti della Corte di Appello di Reggio Calabria: oltre 6 milioni e 700mila euro complessivi, per una media di più 88.000 mila euro, doppia di quella nazionale
Lo Stato si è reso conto quindi di spendere troppo in indennizzi per ingiusta detenzione versando in media circa 27 milioni e 400 mila euro annui ed invece di adottare soluzioni concrete per contenere il numero altissimo di casi che si verificano ogni anno preferisce quindi tagliare l’entità degli indennizzi o magari non pagarli affatto con un ragionamento di tal guisa: “ Si, ho sbagliato ma siccome non ho soldi ti pago meno”.
Qualche giorno fa è stata depositata una interrogazione al Ministro Guardasigilli tesa a modificare il famoso comma 1 dell’art. 314 Codice Procedura Penale ed attenuare quindi il potere discrezionale del Giudice nella concessione o meno dell’indennizzo.
La speranza è sempre l’ultima a morire purtuttavia a fronte di uno Stato che ci chiede di essere buoni ma attribuisce uno scarso valore alla vita umana ed anzi addirittura calpesta la dignità delle persone a cui ha sottratto ingiustamente libertà e diritti, viene la voglia di passare dalla parte dei cosiddetti cattivi.
Desidero ringraziare infine il collega Riccardo Radi del Foro di Roma che ha fornito ampio materiale di discussione sull’argomento ed il cui blog curato in collaborazione con Vincenzo GIGLIO “TERZULTIMA FERMATA” rappresenta un punto di riferimento concreto per gli addetti ai lavori.
Auguri a tutte ed a tutti di sereno Natale: ne abbiamo tremendamente bisogno.
BRUNO IANNIELLO