Il punto settimanale di Bruno Ianniello torna sulla giustizia e analizza la riforma Cartabia e i giudizi civili.
Ebbene sì, tanto tuonò che alla fine non accadde proprio alcunchè.
Potevamo ammorbarvi con le tristi vicende calcistiche che hanno visto protagonista la vecchia Signora con annesso ed inevitabile strascico di accuse reciproche tra i sostenitori dei sodalizi della pedata oppure con il cronico lamentio dell’Associazione Nazionale Magistrati che da più di trent’anni puntualmente ci fa sapere di sentirsi accerchiata non si sa da chi o cosa ogni qual volta i parlamentari accennano a fare ciò per cui sono stati eletti provando a dare un minimo di ordine ad una materia certamente complessa ma la cui riforma compete, secondo il dettato costituzionale, al potere legislativo.
Ci occupiamo quindi nuovamente della riforma Cartabia e delle sue criticità che via via emergono dalle letture delle disposizioni in essa contenute: il focus stavolta si concentra sulle nuove norme che, secondo l’intenzione del legislatore, dovrebbero abbreviare i tempi di definizione dei giudizi civili anche e soprattutto nell’ottica di realizzazione degli obbiettivi fissati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Ad onor del vero si è sempre parlato troppo poco della giustizia civile ed i motivi, di natura storica, possono essere molteplici: non vi è dubbio che la materia penalistica offre un impatto mediatico decisamente più avvolgente ed incisivo tanto è vero che i palinsesti TV e le pagine dei maggiori quotidiani nazionali sono infarciti di cronaca nera.
Del resto cosa si può fare se tira più un omicidio efferato che una normale causa di risarcimento danni per sinistro stradale? Proprio un bel niente e pertanto occorre prendere atto che gli avvocati penalisti hanno maggiori possibilità di trovare un’indubbia ribalta mediatica attraverso svariate interviste e consulenze concesse a tutte le ore del giorno e della notte a più disparati network nazionali che non aspettano altro per riempire ore di programmazione solitamente occupate da talk show del tutto insignificanti in cui si disquisisce delle paturnie del presunto vippone.
Gli avvocati civilisti scontano quindi le conseguenze di un destino infame e risultano pertanto relegati al ruolo di comparse nel grande palcoscenico del sistema giudiziario italiano purtuttavia, a voler essere proprio onesti, la colpa non può attribuirsi esclusivamente al fato cinico e baro ed allora si deve anche ammettere che queste comparse, volendo adoperare un lessico calcistico, non sono mai state capaci di fare squadra ovvero di compattarsi e formare un fronte unico avverso le tante ingiustizie che pure hanno dovuto sopportare negli ultimi anni.
L’avvocato civilista media è un lamentatore di professione ed i suoi sfoghi avvengono per lo più nei corridoi degli uffici giudiziari o nelle sale di attesa dei locali che ospitano gli ufficiali giudiziari allorquando si mettono in fila per richiedere la notifica di un atto giudiziario.
Si formano dei veri e propri spettacolini in cui c’è sempre l’oratore di turno che prende la parola e sgrana il rosario delle inefficienze della macchina giudiziaria a partire dai cancellieri svogliati fino a giudici che, a detta del protagonista dell’improvvisato show, non ci capiscono una mazza. Non manca il pubblico plaudente rappresentato dai suoi colleghi che annuisce ed a sua volta, per rafforzare il discorso dell’oratore, racconta l’ultima esperienza negativa magari rappresentata da una sentenza sfavorevole in cui il Magistrato ha preso una cantonata colossale.
Gli avvocati civilisti sono dei chiacchieroni matricolati, veri e propri conferenzieri che però quando si trovano al cospetto del tanto deriso Magistrato palesano falsa riverenza ed anzi si presentano come il Fantozzi di turno che, accecato dalla imponenza del Megadirettore Galattico, ha la salivazione azzerata.
L’Avvocato civilista è fondamentalmente pervaso da due tipi di atteggiamento quando esce di casa la mattina per procacciarsi il suo pane quotidiano: quello dell’indifferenza mista a rassegnazione perché nella sua carriera ne ha viste e sentite talmente tante che è stufo di battersi per qualcosa che tanto non arriverà mai e quello della vile subordinazione al magistrato di turno perché tiene famiglia e come diceva Raffaele, il custode dello stabile maledetto nella celebre commedia di Eduardo De Filippo Questi Fantasmi: “io non ci tengo perché non ci tengo ma se poi proprio non ci tengo alla fine del mese che tengo?”.
Insomma ci siamo intesi e siccome vi ho giurato perpetua onestà vi devo anche dire che la situazione negli uffici giudiziari non è proprio delle migliori se si pensa, tanto per fare un esempio che mi vede direttamente coinvolto, che a tutt’oggi il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, stante l’enorme arretrato accumulato, non riesce a definire i procedimenti civili iscritti nel 2013.
Cause vecchie di quasi 10 anni vengono ancora rinviate perché i Giudici non riescono a smaltire l’enorme carico di lavoro ad essi assegnato e, particolare di non poco conto, buona parte dei Magistrati che saranno chiamati a sbrogliare le matasse contenute in questa mole gigantesca e polverosa di vecchi fascicoli, non sanno assolutamente nulla di quella cause e ciò a causa dei trasferimenti in altri uffici giudiziari dei colleghi che li hanno preceduti.
In parole povere un procedimento, allorquando viene iscritto a ruolo, è assegnato ad un Giudice che magari ha avuto modo di leggersi le carte, escutere i testimoni e farsi un idea sull’esito della lite ma poi nel corso del giudizio, per motivi di carattere organizzativo legati alla carenza di organico per cui il Presidente lo assegna ad altra sezione oppure per una sua richiesta di trasferimento in altro ufficio giudiziario, lo stesso procedimento prosegue con un altro Giudice che nulla sa di quella controversia e si vede chiamato ad emettere una sentenza praticamente al buio.
La causa comincia quindi con un Giudice Tizio e finisce dopo 10 anni con un Giudice Caio: trattasi di un palese caso di denegata giustizia.
La Riforma Cartabia garantisce solo sulla carta tempi più rapidi rispetto a quelli attuali ma, come spesso accade per cosiddette riforme definite epocali dai tromboni di regime, non elimina alla radice i problemi di fondo che poi generano i cronici ritardi nella definizione di un giudizio civile.
Il Giudice, sempre secondo la nuova riforma, dovrebbe definire il procedimento nel termine di 225 giorni dalla iscrizione a ruolo della causa il che significa meno di un anno per ottenere una sentenza.
Tutto molto bello e magari così fosse poi la realtà ti racconta una storia differente fatta di rinvii d’ufficio perché magari il Giudice è in maternità (legittima sia ben chiaro) o differisce il giudizio per motivi di ruolo in quanto è chiamato a smaltire l’arretrato ed è proprio questo alla fine il punto nodale della questione da cui scaturisce un inevitabile interrogativo: se un magistrato non riesce a definire cause vecchie di quasi dieci anni come si può ipotizzare che in meno di un anno possa essere smaltito il nuovo contenzioso?
Il numero dei Giudici resta invariato e per il momento anche quello del personale di cancelleria e quindi le forze in campo chiamate a combattere la nuova battaglia sono sempre le stesse ovvero quelle che hanno prodotto il catastrofico risultato per cui si è resa necessaria la riforma.
Un legislatore avveduto non promette ciò che non può mantenere e se proprio intende avventurarsi in ardite promesse quanto meno cerca di capire lo stato dell’arte magari mettendo piede in qualche ufficio giudiziario con il precipuo scopo di capire le reali problematiche senza attendersi il solito comitato di accoglienza con l’altrettanto solito nastro da tagliare.
Si poteva magari ipotizzare una sezione specializzata all’interno dei Tribunali (ai tempi in cui ho cominciato a fare pratica esistevano le cosiddette Sezioni Stralcio) composte da Giudici che si occupassero esclusivamente di smaltire l’arretrato consentendo così agli altri Magistrati di poter curare i nuovi fascicoli secondo le indicazioni fornite dal legislatore.
Non si può chiedere ad un Giudice di cantare la messa e portare la croce perché il risultato sarà quello di ottenere un sentenzificio chiamato a sfornare un tot numero di provvedimenti in buona parte emessi in fretta e furia al solo scopo di accontentare il Presidente del Tribunale che invoca rapidità per poi poter trasmettere il suo compitino al Ministero.
La giustizia è una cosa seria e dovrebbe essere trattata da cosa seria soprattutto quella civile perché muove una parte significativa degli scambi commerciali e del prodotto interno lordo: trattasi di tanti soldini bloccati da anni in un meccanismo tortuoso che non assicura alcuna tutela ai veri creditori premiando invece i furbi che non pagano.
E’ una storia vecchia e triste che nessuno negli ultimi anni ha voluto veramente affrontare con la dovuta cognizione di causa, nemmeno il Governo dei migliori.
BRUNO IANNIELLO