La riflessione settimanale di Bruno Ianniello
Un vecchio adagio recita che tutto arriva per chi sa aspettare e che pertanto occorre solo pazientare al fine di ottenere un minimo di giustizia.
Negli ultimi giorni, proprio mentre lo stato maggiore del movimento cinque stelle (o di quel che ne è rimasto) era intento a spartirsi le spoglie di un qualcosa che giorno dopo giorno perde sempre più consistenza a discapito dei poveri elettori che, ignari, si erano fidati delle promesse grilline di voler rivolare le istituzioni come un calzino, ebbene, proprio in quel lasso di tempo sono state pubblicate due sentenze della Corte Costituzionale, precisamente la n. 128 del 22 Giugno 2021 e la n. 140 del 6 Luglio 2021 che si abbattono sul malgoverno del Conte bis al pari di veri e propri tsunami che, al loro passaggio, fanno tabula rasa di tutto ciò che trovano.
La prima sentenza, la numero 128 sancisce la totale illegittimità dell’art. 54 ter della Legge n. 27/2020 attraverso cui si prorogava la sospensione delle esecuzioni immobiliari: in questo frangente la Consulta, senza mezzi giri di parole, ha bocciato tale ultima proroga in quanto ritenuta “irragionevole e sproporzionata” in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
La Corte ha ritenuto insomma che la sospensione generalizzata delle esecuzioni immobiliari relative alla prima casa poteva anche essere giustificata in un primo periodo della pandemia ma le successive proroghe, prive del necessario bilanciamento, hanno necessariamente finito per ledere legittimo interesse dei creditori ad agire in via esecutiva.
Ricordiamo ai nostri lettori che l’art. 54 ter L.n. 27/2020 era stato introdotto al fine di sospendere le procedure esecutive immobiliari che avessero ad oggetto l’abitazione principale del debitore esecutato.
La norma compare, per la prima volta, nella Legge di conversione del Decreto Cura Italia ed entra in vigore il 24 aprile 2020 sospendendo, di fatto, le procedure esecutive in oggetto per i successivi sei mesi.
L’art. 54 ter L.n. 27/2020 così recita: “Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore”.
Il blocco delle esecuzioni è stato poi nuovamente prorogato, dapprima al 31 dicembre 2020, ad opera dell’art. 4 del d.l. n. 137 del 2020, e di poi fino al 30 giugno 2021, dall’art. 13, comma 14, del d.l. n. 183 del 2020 e proprio questa ultima proroga risulta essere stata censurata dal Giudice Costituzionale su invito dei remittenti Tribunali di Barcellona Pozzo di Gotto e Rovigo.
La Corte, nella parte motiva della sentenza n. 128 del 22 giugno 2021, ribadisce che “la garanzia – riconosciuta dall’art. 24, primo comma, Cost. – di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti comprende anche l’esecuzione forzata, che è diretta a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento del giudice”.
Ribadita la copertura costituzionale dell’azione esecutiva, viene precisato che il Legislatore può sospendere tale diritto, costituzionalmente previsto, a patto che tale sospensione costituisca “un evento eccezionale…giustificato da particolari esigenze transitorie”.
La Corte Costituzionale non trascura la tutela del diritto all’abitazione, che costituisce “diritto sociale” e che ben può essere posto alla base della sospensione del diritto ad agire in via esecutiva del creditore pignorante a patto che però che sussista “ un ragionevole bilanciamento tra i valori costituzionali in conflitto” ed è proprio nel mancato bilanciamento che la Consulta individua l’illegittimità della seconda proroga dell’art. 54 ter L.n. 27/2020.
La Corte, difatti censura la seconda proroga del blocco delle esecuzioni perché, a differenza di altre norme emergenziali, la medesima non si è mai “evoluta”. In buona sostanza, mentre, ad esempio, l’art. 103 del D.l. 18/2020 (che prevede la sospensione degli sfratti) si è via via affinato prevendo, con l’ultima modifica, un sistema binario con una netta distinzione tra i provvedimenti di rilascio emessi prima e dopo una certa data, l’art. 54 ter è rimasto, pressoché, immutato.
Non è stato operato, insomma, dopo un iniziale periodo di “comprensibile” blocco totale, quel necessario “bilanciamento” tra la tutela del diritto all’abitazione del debitore esecutato e la tutela del diritto al recupero del credito da parte del creditore pignorante.
Questo il passaggio della sentenza che si abbatte come una mannaia sulla norma censurata: “la sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale è invece rimasta invariata nei suoi presupposti fino alla seconda proroga, oggetto delle censure in esame. È mancato cioè un aggiustamento dell’iniziale bilanciamento sia quanto alla possibile selezione degli atti della procedura esecutiva da sospendere, sia soprattutto quanto alla perimetrazione dei beneficiari del blocco“.
E’ mancato quindi del tutto un giusto bilanciamento degli interessi in gioco: da una parte quelli tutelati del debitore e del suo diritto alla abitazione, dall’altra quelli del creditore che invece non hanno ricevuto alcuna tutela né parziale contropartita a fronte di un diritto, costituzionalmente sancito dagli articoli 3 e 24 contenuti nella nostra Legge fondamentale.
I guai, però, al pari delle disgrazie, si presentano sempre in buona e numerosa compagnia e così in data odierna la Corte Costituzionale ha mollato un altro sonoro ceffone al governo Conte bis attraverso l’emanazione della sentenza n. 140 con cui è stato dichiarato illegittimo l’articolo 83 comma 9, del decreto legge n.18 del 2020 nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione “per il tempo in cui i procedimenti penali sono rinviati ai sensi del precedente comma 7, lettera g), e in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020”.
Secondo la consulta tale disposizione contrasta con il principio di legalità contenuto nell’art. 25 del nostro dettato costituzionale secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso
In particolare, – come spiega una nota di Palazzo della Consulta – la Corte “ha ravvisato la violazione del principio di legalità (sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione) perché il rinvio delle udienze, cui si ricollega la sospensione della prescrizione, costituisce il contenuto soltanto eventuale di una misura organizzativa che il capo dell’ufficio giudiziario può adottare, quale facoltà solo genericamente delimitata dalla legge quanto ai suoi presupposti e alle finalità da perseguire”.
La sentenza spiega che “la previsione normativa della sospensione del decorso della prescrizione ha valenza sostanziale in quanto determina un allungamento complessivo del termine di estinzione del reato e, dunque, ricade nell’area di applicazione del principio di legalità che richiede – proprio perché incide sulla punibilità – che la fattispecie estintiva sia determinata nei suoi elementi costitutivi in modo da assicurare un sufficiente grado di conoscenza o di conoscibilità”.
La norma censurata, nel prevedere una fattispecie di sospensione del termine di prescrizione, rinvia a una regola processuale non riconducibile alle ipotesi indicate nell’articolo 159 del Codice penale, in quanto il suo contenuto è definito integralmente dalle misure organizzative del capo dell’ufficio giudiziario, “così esibendo un radicale deficit di determinatezza, per legge, della fattispecie, con conseguente lesione del principio di legalità limitatamente alla ricaduta di tale regola sul decorso della prescrizione”.
Secondo la Consulta, pertanto, la disposizione viola il principio di legalità in quanto la sospensione della prescrizione non può essere disposta a seguito di un provvedimento emanato dal Capo dell’ufficio giudiziario il quale, nell’ambito di eventuali misure organizzative volte a contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e a contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, decide di rinviare ad altra udienza un procedimento penale.
La sentenza spiega che la previsione normativa della sospensione del decorso della prescrizione ha valenza sostanziale in quanto determina un allungamento complessivo del termine di estinzione del reato e, dunque, ricade nell’area di applicazione del principio di legalità che richiede – proprio perché incide sulla punibilità – che la fattispecie estintiva sia determinata nei suoi elementi costitutivi in modo da assicurare un sufficiente grado di conoscenza o di conoscibilità.
Il ragionamento seguito dalla Corte Costituzionale è del tutto ineccepibile in quanto il Capo dell’Ufficio giudiziario non è tenuto a disporre il rinvio delle udienze penali ma solo facultato e pertanto possono esserci (e ci sono stati) casi in cui in un Ufficio Giudiziario era disposto il rinvio delle udienze penali ed altri casi in cui tale rinvio non era ritenuto necessario con una consequenziale disparità di trattamento per gli imputati.
In ogni caso, la stessa Consulta, a ragion veduta, afferma che la sospensione del termine di prescrizione di un reato non può discendere da un eventuale provvedimento organizzativo interno emanato dal capo di un Ufficio Giudiziario ma deve sempre scaturire da un provvedimento legislativo capace di assicurare un sufficiente grado di conoscenza e conoscibilità nonchè integrale parità di trattamento per tutti i cittadini imputati.
I due provvedimenti in commento ci dicono chiaramente che le norme censurate, oltre ad essere ingiuste, erano state scritte male: qualcuno, in tempi non sospetti, aveva provato a spiegarlo ma era stato a sua volta censurato e deriso.
Corsi e ricorsi della storia che, seppure in ritardo, rende sempre giustizia a chi, in buona fede, si era schierato dalla parte della Costituzione e dei diritti in essa contemplati ma brutalmente calpestati in nome di una emergenza indegnamente gestita.
BRUNO IANNIELLO